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Nerigal

Nerigal è il Demone dormiente delle grandi città. Degli alveari senza via d’uscita nei quali piccoli insetti d’umana densità soffrono nello scorrere del liquido d’esistenze assuefatte al Nulla.

..::WARP::.. DescrizionI

La Grande Città viveva a rilento nei suoi stessi spasmi; offrendo Paradiso agli stolti, dispensando Inferi ai più.
La Grande Città trasmetteva pestilenza in piccole gocce senza cadenza precisa; nell’imbroglio di giorni passati tra scrivanie ed umani del quale non sentire necessità, amori e sentimenti di immobilità refrattaria al tutto.
La Grande Città respirava dell’afflato rantolante nei polmoni malati d’ogni essere che calpestasse la sua vuota pelle di cemento; piccole cellule cancerogene in movimento costante nella vana speranza di redenzione vitale.
La Grande Città era angelo con ali rettiliane, sposo tradito e boccheggiante nell’afa d’una stagione dalla morte incipiente.
Non per ultimo, la Grande città splendeva del fuoco incarnato tra palazzi e grattacieli. Stilemi solcati profondamente, comandamenti sovrimpressi nei palmi di cadaveri danzanti.

..::WARP::.. ClemenzA

Eccoci, Nerigal, ad implorare il perdono del cemento che ottura le vie respiratorie. Che toglie fiato ed alimentazione succhiando muco e sangue in secrezioni faringee.
Chiediamo perdono estendendo il nostro sesso al tuo altare, in attesa della cauterizzazione delle carni nell’annullamento delle caratteristiche organiche.
Chiediamo perdono danzando tra infibulazioni emorragiche e flutti di nero sangue mestruale versato sulla tua pelle di calcestruzzo.
Porgiamo i nostri ossequi prendendo il volo dai pertugi delle tue escrescenze di periferia urbana; voli pindarici in termine spezzato/spezzatino. Saranno i nostri organi interni [da ripulire ad opera di netturbini zelanti] il dono a te gradito che assaporerai assimilandone sapori e gusti attraverso bocche [di] lupo senza fondo.

Nerigal è il Demone dormiente delle grandi città. Del corpo in venature d’asfalto tra abbagli luccicanti verde/giallo/rosso: distillati d’acqua sulfurea evaporati nella secchezza dell’incubo quotidiano.

Foto: Laurent Kronental

 

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