
E’ l’immaginifico che sostiene l’umano nelle vacue giornate dominate dal delirio imperante. Tra voci altrui che bombardano insistentemente, quando quelle voci vorresti solo zittirle nel più turpe martirio:
circoncidere l’elettrovalvola per attivare ipercapnia ma priva del dolce sonno (solo convulsioni e atterrimento). Nullificazione, esaltata maggiormente quant’essa si perpetua nella sofferenza indotta. Un libero sfogo del nichilismo come prodotto del fastidio residuale dove tutto incenerisce.
Ed il fuoco, pur se vivido nelle fiamme al napalm arancione, non è in grado di scalfire un buio così profondo e senza termine da non comprenderne l’essenza. Un buio così profondo da procurare terrore e rifuggirne spiegazione o analisi. C’è qualcosa di rotto che muove la catena, là dove il bambino non volge lo sguardo. Un guscio radioattivo ben protetto, ma in perenne meltdown, talmente impenetrabile da essere infrangibile nel rimanere custodito ed intangibile.