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[Vampires] – Elegia dell’Oscurità

Nella Londra umida e crepuscolare del 1864, avvolta da vapori d’assenzio e miasmi di fango stagnante, camminava come un’ombra fra le ombre, con passo esitante e occhi colmi d’incredulo tormento. Lucien Picard, un tempo poeta, amante e dissoluto figlio della luce. Ora, ciò che resta di lui é solo carne rianimata da un male antico, da un bacio che prometteva l’eterno ma che è solo condanna.

L’aveva incontrata in un bordello a Covent-Garden, quella creatura che odorava di incenso, muffa e rose morte. Aveva occhi come l’ultima notte del mondo, e parlava come i sussurri del destino. Non ebbe tempo di fuggire, né forza di resistere. Solo il dolore, acuto come vetro spezzato nella gola. Poi freddo. Poi silenzio.
Si svegliò tre notti dopo, avvolto da un sudario d’angoscia, con pelle livida e cuore immobile. Ma vedeva. Ma udiva. Ma fiutava. L’universo intero si era rivelato nella sua decomposizione segreta: ogni cosa viva gemeva, pulsava, marciva dolcemente nel proprio calore. E ogni cosa viva… aveva sangue.

I primi giorni furono un’orgia di scoperta e disgusto. Il sapore del sangue lo travolse come una lussuria mai conosciuta, più intensa di qualsiasi piacere mai provato. Eppure, anche in quell’estasi, c’era un veleno. E le vittime avevano nomi. Avevano occhi. Avevano mani che imploravano. Un profumo sulla pelle che lo riportava alle lenzuola di donne ormai irraggiungibili.

Una notte inseguì una prostituta fino al Tamigi. Era giovane, con i capelli rame come le foglie autunnali. Le parlò. Lei rise. Lo toccò. E in quell’istante, ecco il fremito: il desiderio umano, l’antica fame d’amore che tornava a sussurrare. Ma la sua gola bruciò. Il battito assente del suo cuore si agitò come un tamburo rotto. Messaggi dall’oscurità che oramai lo permeava.

«Non posso amarti», sussurrò. «Posso solo bere di te.» Pianse mentre la vita sgorgava dalla carotide incisa

Nessuno insegna ai nuovi vampiri la malinconia. È una lingua che si apprende lentamente, sillaba dopo sillaba, nei secoli. Lucien la conobbe già il primo mese, quando tentò di guardare l’alba. Salì su un tetto di Westminster e attese, sentendo la pelle fremere come carta sull’orlo del fuoco. Il primo barlume lo colpì come una frusta. Si gettò nell’ombra, ululando come un animale ferito.

Non avrebbe mai più visto un’alba.
Né un tramonto.

Il sole, quel dio caldo e lontano che un tempo disprezzava, ora mancava come un padre morto.

Ma l’oscurità non era priva di bellezza. Le cattedrali parevano più solenni sotto la luna. I giardini, più profumati. Ogni cosa era intrisa di un senso sacrale e di morte imminente. Il mondo notturno gli si apriva come un abisso seducente: i balli decadenti delle ombre invisibili, le danze languide di nobildonne in rovina, gli sguardi carichi di promesse infrante. Lucien vi prese parte, inizialmente. E presto tutto divenne vuoto: nella sete, nella morte, giacque con creature che erano più spiriti che donne. Non vi era amore, solo il bisogno cieco di dimenticare ciò che era stato.

“Essere immortale è come annegare lentamente in sé stessi. Non c’è resurrezione, ma la lunga agonia di una vita che non conosce fine, né redenzione. Amare sarebbe una colpa, perché non potrei mai amare senza desiderare il sangue di chi amo.”

Una notte d’autunno, vagando fra i sepolcri di Highgate, si inginocchiò sulla tomba di una donna che aveva amato da giovane. Non l’aveva mai toccata, ma l’aveva sognata mille volte. Poggiò le labbra sulla pietra e sentì il gelo della vera morte, quella che gli era stata negata.

«Tu dormi. Io sono sveglio nel sogno eterno. Chi è più vivo? Chi è più morto?»

Nessuno rispose.

Ma Lucien Picard non si spense.
Continuò a camminare. A scrivere, su pergamene nascoste nei sotterranei. A cantare inni silenziosi alla notte e alle donne che non avrebbe mai più potuto baciare senza straziarle. Perchè il combattimento non cessò mai. Ogni oncia di sangue era una preghiera blasfema. Ogni notte un’elegia. Ogni sguardo alla luna, un lamento che solo i dannati potevano udire.

Lucien, ricordi il calore di ciò che più non è?

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