Lucien, ricordi il freddo del sole che brucia? perché ogni parola che pronunci è una larva che si contorce nell’aria; il tuo volto una maschera di grazia decomposta; il tuo corpo una reliquia di bellezza corrosa.
Io sono Lucien Picard.
Non bevo sangue per fame — lo assaporo per nostalgia. Ogni goccia che lambisce le mie labbra è un verso perduto, un frammento di vita rubato al tempo, memoria distillata dalla carne. Io non mi nutro: ascolto. Ogni cuore che batte vicino al mio sussurra con la voce di chi non ha mai avuto il coraggio di gridare.
Io sono Lucien Picard.
Non mordo perché la mia carezza è più acuta di qualsiasi zanna. Sfioro, e la pelle si apre come in una confessione, in un’oscura mappa di cicatrici che raccontano storie mai accadute, cucite da mani che non esistono. Sotto di essa, muscoli contratti da spasmi eterni danzano al ritmo di un cuore che batte sangue acido e ricordi spezzati, in silenzio, con la lentezza dell’eternità.
Io sono Lucien Picard.
La mia voce non parla. È fatta della seduzione della cera. Porta con sé e nel vento l’eco di promesse infrante in una lingua che non si insegna ma sussurra segreti sepolti, confidenze sfilacciate nel cuore dell’agonia. Dove l’incarnazione di ciò che l’inferno stesso ha rigettato per eccesso di oscenità è sofferenza e godimento.
Io sono Lucien Picard.
Mio è il crepuscolo che cammina. Ed i miei passi non toccano il suolo mentre la terra si apre in crepe sottili pur di accoglierli. L’oscurità è un’ombra che non mi segue; anticipando la mia presenza come un presagio di bellezza in rovina. In un corpo pieno di assenze, cristallizzato nel tempo, esisto come un reliquiario sospeso nel vuoto ancestrale, un poema senza lingua.
Io sono Lucien Picard.
…un concetto mutevole a seconda di chi mi osserva: madre per chi cerca conforto, boia per chi cerca perdono, vuoto per chi cerca verità. Oppure, solo, un essere umano che l’umanità ha sempre disprezzato.
Lucien, ricordi il freddo del sole che brucia?
