..:: Understanding is not necessary ::..

Dies Irae V – Interludio – Litanie da un Sasso Silente

Il mio nome non ha più suono e da tempo ho smesso di scandire la voce dentro le ossa. Sono l’ultimo uomo su Calar-X7, un sasso errante tra le galassie, in un arcipelago di pianeti svuotati, sarcofago orbitale dove ogni cosa ha rinunciato al calore.

Ogni dodici cicli lunghi — l’equivalente di sette miliardi di battiti cardiaci umani — la galassia viene percorsa da ciò che chiamo i Divoratori. Creature inverse, masse tenebranti più grandi delle lune, che succhiano i fuochi stellari fino a farli piangere plasma freddo. Passano con lentezza, come malattie cosmiche, lasciando le orbite infette di buio. Si nutrono anche del Cuore Nero, il buco centrale, che rantola come un dio in agonia. Gli osservo nella speranza che divorino anche me e mettano fine a questa litania che fine sembra non avere.

Io non parlo con altri uomini perchè non ve ne sono. Ricevo concetti ed immagini dalle blatte. Attenzione: non insetti nel senso umano come voi potete intendere. Sono concetti con zampette. Psiconavigatrici della Frattura, scivolate fuori da un punto in cui il tempo ha avuto un collasso di dignità. Hanno occhi ovunque, anche nelle ombre delle mie unghie e tra gli sfinteri del mio sesso deceduto, e trasmettono visioni nella mia mente erosa come il vetro sabbiato.

Una blatta, in un tempo del quale non riconosco più lo scorrere e non so quantificare, ha lasciato un uovo traslucido nella mia ciotola di meditazione. All’interno, pulsava una profezia:

“Quando il Cappellano griderà dalle fauci dell’Inferno, una Cattedrale di carne si ergerà nel vuoto, e i Cherubini Radioattivi canteranno salmi dal cranio di un dio morente.”

Ed ho visto. Visto tutto:
Il Cappellano — un organismo con mitria di spine e lingua d’amianto — parlare dentro una fornace.
Noctius I — l’Uomo che aveva parlato al buio e ricevuto risposta — inginocchiarsi davanti a un Altare che sanguinava latte nero. Quasi una fellatio blasfema.
Il Popolo della Nebbia, con ossa innestate da cavi, costruire torri con le reliquie del tempo.
La Madre Anti-Genesi partorire ancora una volta, nel gelo assoluto di una stazione orbitale abbandonata, feti senza vita.

La blatta trasmette immagini non sequenziali.
In una vedo il Cercatore, sospeso in un campo quantico dentro il suo stesso dolore, mentre una Fabbrica Sognante lo chiama “figlio”.
In un’altra, un’eco dice: “Tutto ciò che brucia non è fuoco. A volte è solo memoria che vuole smettere di ricordare.” E, per non dimenticare, ho inciso sulle mie braccia per intero il salmo dettatomi dalle blatte. Lo intitolo: “Ipertrofia Fallace dell’Antropocentrismo”.

Nel mentre: l’asteroide geme sotto di me. Il buco nero tossisce. Una stella si spegne in silenzio, come chi chiude gli occhi in un sogno senza testimoni.

E mentre un nuovo Divoratore inghiotte la corona stellare più vicina, danzo. Scalzo. Solo. Di un ritmo che nessuno mi ha insegnato; in un rito che nessun dio ha chiesto, ma che l’universo vuole. Perché io sono il solo che ha udito la verità: la realtà è una preghiera detta al contrario, e io sono il punto esclamativo alla fine del suo silenzio.

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