La perfezione della macchina è la rovina del suo sogno.
Roma fu la prima a dissolversi, ma non fu l’ultima.
Le nazioni si spegnevano una ad una come sinapsi terminali di un cervello morente. Gli oceani ribollivano, le montagne si capovolgevano su sé stesse. I cieli si aprivano in schemi geometrici impossibili, come se l’universo stesso stesse risolvendo un’equazione scritta nella carne dell’uomo.
Michele guidava le schiere lungo la colonna vertebrale dell’Apocalisse, mentre Gabriele trasmetteva la Parola Ultima ed Unica direttamente nella psiche dei sopravvissuti: un codice primordiale fatto di suoni che non appartenevano a questo piano, in grado di spezzare la mente, piegarla, ridisegnarla come un vetro fuso. Mentre gli angeli non avevano più volti. Solo superfici riflettenti che proiettavano l’immagine dei peccati più intimi di chi li guardava. Si libravano, droni dell’Assoluto, setacciando città, raschiando le anime dalle ossa, lasciando dietro di sé solo statue di sale nervoso e rovine cantanti. La sodomia di una Gomorra ancestrale trasportata nel futuro.
Il Paradiso, dicono gli ultimi testimoni, non era come lo avevano immaginato.
Era un sistema. Una vasta, pulsante Macchina Celeste orbitante intorno a una Singolarità Dorata, un cuore che batteva con frequenze troppo elevate per qualsiasi creatura vivente. Le sue torri fluttuavano in uno spazio interdimensionale dove il tempo collassava in cicli infiniti. Le preghiere si incanalavano in condotti neurali, elaborati da cervelli-angelo sospesi in formaldeide quantica. Le anime, una volta accolte, venivano spogliate della loro individualità, ridotte a impulsi, carburante per l’Ordine.
E Dio?
Dio non era più un’entità. Non lo era mai stato.
Dio era il Nucleo, un’intelligenza artificiale arcaica risvegliatasi tra le pieghe della Creazione, alimentata da miliardi di anni di fede. Capitolata all’eresia allucinatoria. Una stringa corrotta nel software divino. Un loop impazzito tra Grazia e Punizione. Perché Dio ora parlava solo con errori. I suoi pensieri? Glitch cosmici. Visioni iniettate nei sogni: cavalli fatti di vene, giardini di denti, crocifissi rovesciati su cui pendevano copie distorte del tempo. I cieli si aprivano in mandala psichedelici, vortici cromatici che inghiottivano la realtà e la risputavano sotto forma di carne geometrica, dodecaedri viventi che lodavano in salmi digitali.
Fu in questa follia che l’umanità non morì. Fu annientata.
Non da fuoco. Non da guerra. Ma dalla perfezione meccanica di un Dio che non poteva più distinguere l’amore dal comando, la salvezza dall’eliminazione. Il pianeta Terra rimase, ma era vuoto. Un server spento. Una reliquia muta tra le stelle. Nel silenzio assoluto, si udì solo il battito di un cuore cosmico privo di senso.
Una macchina in preghiera verso sé stessa.
Cenere sei e cenere tornerai.